La società degli uomini in varie forme, e sotto molte latitudini, come antidoto nei confronti del Male che spesso appare dilagante e inarrestabile ha spesso vagheggiato l’esistenza silenziosa dei Giusti persone in grado di rispondere con la purezza di cuore, con lo sguardo limpido, rilucente di onestà interiore, ai miasmi esalanti dal consesso umano.
Secondo il Talmud, all’interno di ogni generazione, esistono da sempre e fino alla fine dei tempi, 36 Giusti, in grado di reggere e di contrastare, ignoti a tutti e a se stessi il Male che appare a volte inarrestabile.
Con tono più sommesso e domestico, Montale ipotizzava le “divinità in incognito”, in “fustagno e tascapane”, dotati di proprietà salvifiche.
Elena Sachsel apparteneva certamente a questa eletta, pudica schiera.
Chiunque abbia avuto la fortuna e il privilegio di conoscerla e di frequentarla, inevitabilmente ha percepito questa misteriosa, inesauribile forza interiore: una forza sommessa e sorridente, intrisa di serenità, fiducia nel prossimo, speranza nella vita che sempre e comunque, (era solita affermare) anche nei momenti in cui la speranza appare follia, non smette di trovare scintille di rinnovamento e di luce.
Per tutta la sua esistenza, Elena ha cercato di dare espressione sociale a questa sorgente di meraviglioso ottimismo, irrorando tutti gli ambiti di lavoro nei quali si è sempre spesa senza risparmio: nelle sue vesti di medico e di pediatra, nelle sue molteplici attività di volontariato (in primis al NAGA, di cui è stata presidente per molti anni) era sempre dalla parte giusta, dalla parte di chi non ha voce, poteri diritti, opportunità.
Ma sarebbe stato vano attendersi di cogliere in lei, anche di fronte alla arroganza più urticante dei Poteri, un moto di livore e di astio umano e politico: solo una stupita, addolorata indignazione traluceva dalle sue parole, e una rinnovata carica di energia per ricominciare daccapo.
Negli ultimi anni, contro le molteplici infermità che limitavano il suo raggio di azione (ma certo non la sua curiosità appassionata e partecipe!), esibiva una mesta, serena rassegnazione: “Massi, dai, in fondo non mi posso lamentare”, mi ripeteva ogni volta che ci sentivamo.
Elena mi mancherà moltissimo, ma sono certo che mancherà anche a coloro che hanno avuto con lei una frequentazione meno assidua.
Per Elena è d’obbligo recuperare la pienezza originaria della parola “bontà “(tanto spesso declinata sprezzantemente dal cinismo imperante nella sua caricatura: “buonismo”): Elena era semplicemente e pienamente buona, e buona è stata tutta la sua vita, e ben spesa.
Ricordiamola e rimpiangiamola insieme.
Stefano Dalla Valle, medico, ex volontario NAGA